Angelo Verga, Ettore Sordini, Franz Prati, Dario Passi e
Antonio Monestiroli
A.A.M. Architettura Arte Moderna, 19 dicembre 1983
© Gabriel Vaduva / Archivio FFMAAM
Biografia dell'autore
Angelo Verga (Milano 1933-1999), all'età di sedici anni decide di lavorare "a bottega" dal pittore Giuseppe Motti. Frequenta i corsi serali di nudo all'Accademia di Belle Arti di Brera dai maestri Salvadori e M. Marini. In seguito opera in vari ambienti pubblici con il decoratore Angelo Airoldi, e presso lo studio di R.Crippa.
Nei primi anni del suo operare artistico, gli spostamenti a Parigi per vedere e rivedere le opere d'arte sono annuali, ha modo di entrare in contatto con i grandi artefici del Surrealismo come Breton, Tzara, Farfa. I suoi lavori vengono esposti per la prima volta a Soncino, alla IV Fiera Mercato nel 1956. Seguono poi altre esperienze che lo portano ad aderire al Gruppo Nucleare ed a pubblicare manifesti a fianco di Sordini e Manzoni. Nel maggio '57 è presentato da L. Fontana in una mostra alla Galleria Pater (con Manzoni e Sordini).
I suoi lavori sono impasti materici che lasciano intravedere strani insetti kafkiani di chiara matrice surrealista, risolti a macchie, intrichi di segni, aculei, molto vicini olle immagini di Peverelli e Crippa. In questa occasione, criticata da. Kaisserlian per l'incoerenza stilistica di tutti e tre i giovani artisti esordienti, e per la futilità delle dichiarazioni contenute nei manifesti, Verga si rivela, anche agli occhi dello stesso critico, come il più maturo dei tre per "certi suoi grovigli che assumono talvolta la forma di fiori strani, intensi e pieni di fantasia". Lo stesso Kaisserlian, un anno dopo, descrive le sue composizioni "cariche di materie elaboratissime e di segni allusivi, che attirano per il contrasto quasi musicale che egli sa imbastire tra un fondo scuro e le forme che emergono in primo piano. L'impianto compositivo rivela una sicurezza espressiva che è frutto di un lavoro ostinato".
Lavori sempre materici, testimoniano una fase di passaggio da una situazione quasi naturalistica ad una di maggiore attenzione al segno: sopra una base di colore uniforme, una seconda stesura assai più pastosa, ricopre la superficie a volte solo in parte, e risulta percorsa da segni scavati nel colore. Sono tele "prevalentemente dense di impasti neri, irrequieti grumi e rugosità" dove "il segno si precisa come solco gestuale; ma non si tratta di emotività che si affida all'automatismo; a costruire la condizione operativa di Verga troviamo quasi costantemente un dissidio tra istintualità e lucida riflessione critica ed autocritica. Verga s i impone all'attenzione del pubblico anche in merito all'esposizione del premio S. Fedele del 1958, al quale partecipa con "Storia di un fiume", una composizione risolta su fondo grigio mosso da segni sensibili, indicata da Kaisserlian tra quelle di maggior impegno.
Nel 1962 con Ferrari, La Pietra, Sordini e Vermi aderisce al gruppo del Cenobio. Nelle opere di questo periodo il segno si tramuta in fitte presenze pulsanti, la grafia leggera, dinamica, perennemente in mutazione; sono tratti, piccole forme sottili, "sono composizioni che fanno, vivere il segno come fermento in uno spazio e .fanno sentire la presenza di questo spazio con un cromatismo incombente". "Lo spazio a cui si rivolge è interiore attivato da nuclei grafici... assiepati sistemi di tratti verticali, di nodi, di accenti, punti e macchie, frammenti di partenze figurali e lessicali, disposti su più linee ideali, ma anche precipitati liberamente, a rendere più viva e pullulante la disseminazione... siamo in presenza di una discorsività grafica estremamente varia e analitica, ambiguamente oscillante tra scrittura di immagini, che individua il processo temporale di un'esplorazione interna". "Verga imposta il suo discorso grafico secondo un vitalismo fermentativo e dinamico del segno, facendolo vibrare in una festosa intensità cromatica, sollecitando, con allusioni felici la partecipazione diretta dell'osservatore".
Opere di questo periodo sono: "Portompo", "Piano per la battaglia di Abal contro i mirtilli", "Magazzino delle rose", "Piano per la diffusione del morbillo", "Macchina per strappare i denti alle carote", titoli di provenienza surrealista e patafisica, pregni di valori allusivi. A poco a poco la fitta gestualità segnica si placa, il suo linguaggio si imposta su un'estrema essenzialità e povertà di elementi compositivi: stesure di colore e pochi segni; a questa "austerità" si oppone, ha osservato Nello Ponente, una vivacità ed una ricchezza di rapporti tra segno e segno, tra segno e zona di colore, tra forma e colore. "La composizione acquista maggior respiro; le superfici sono pulite, bianche, o di poche larghe stesure, rotte da un segno, emotivo", il quale a metà del suo percorso si annoda "come per una repentina ed imprevista scarica nervosa, per poi scorrere via per un tratto pari al primo segmento". In questo caso "la traccia o le tracce correnti da sinistra verso destra, e quasi sempre in senso leggermente ascendente, possono considerarsi la traduzione diretta di un evento di durata attimale, ma di intensa carica emotiva".
Sono di questo periodo tempere e lavori ad olio intitolati "Ciclotimia", "Sequenze". La geometria interviene "come riferimento di insieme"; è una geometria sottesa, atta a riordinare i campi rettangolari o le sequenze delle scritture, oppure, quando è maggiormente evidente, è tracciata a mano libera e risolta a larghe pennellate con contorni non regolarmente squadrati. Il colore di queste sue pagine è di una "luminosità depurata, ma sempre vibrante, a rendere più trepida l'emozione". "I colori smorti ed avvampanti insieme,...ricordano gli affreschi lombardi del 400, i rossi-mattone, i verdi-prato che ci rinviano ad un sogno di pittura amorosa e cortese".
Nello Ponente ritiene che i segni di Verga "i contrappunti di zone, nascono dal dubbio e dall'esperienza, anche contraddittoria, dei comportamenti e dei desideri. Ne esemplificano i nervosismi ...e non la stabilità presuntuosa che è assente, ripudiata, inutile. Ed il colore a volte, illuminato da questa dubitosa esperienza acquista la vivacità di una localizzazione inventata di nuovo, natura più della natura, recuperando senza paura una non tonale intensità lirica".
Dal 1967 Verga rivolge la sua attenzione su figure geometriche quali il quadrato, il triangolo, il cerchio. La sua ricerca sul ritmo e sullo spazio giunge ora ad estreme semplificazioni, proponendo uno spazio ragionato e misurato. Queste sue pitture sono tutte variazioni su un unico tema: quello di una o più immagini cromatiche distinte. non più organiche ma ricondotte a figure della geometria: quadrati. dischi. abbinati. sovrapposti e attraversati da un segno libero che molto spesso è una .semplice linea che a metà percorso si annoda con particolare forza gestuale. per poi riprendere il proprio cammino lineare. Il gesto libero e dinamico. in violenta colorazione, vale da contrasto alla staticità delle forme geometri- che, nel tentativo di costituire una relazione tra le due componenti. "E' ancora in modo nuovo l'incontro della chiusa essenzialità sospesa con il divenire esistenziale, imprevedibile: ... e il predominio del bianco o, a volte, addirittura dell'acromo, la risonanza dei richiami spaziali, il respiro largo, quasi di nuova pittura murale, la ricerca di assoluto, senza annullare il relativo dell'imprevisto danno alle composizioni chiari accenti di nuova poesia". La tela non è più intesa come "tavola della memoria"; tuttavia il bianco è ancora presente in grande varietà di toni.
"Il bianco fa parte dell'esaltazione di Verga; che è lucida e contemplativa insieme, che tende a smorzare i sensi. Grandi figure geometriche che si sovrappongono e determinano una stasi, un silenzio. La vibrazione è tutta nella luce che a misure minime trapassa da un limite all'altro. Il filo rosso che attraversa questi quadri, esalta quel silenzio. Ci sono effetti notevoli di calma, di ordine, di nettezza. Semmai c'è il rischio di rendere asettica anche l'immaginazione". Sono di questo periodo: "Composizione n.l"; "Composizione n.2"; "Composizione n.3";... La "Composizione n.7", per esempio, una delle più complesse, consiste di due quadrati uguali, accostati in simmetria su fondo rosso, e uniti a loro volta dalla sovrapposizione di un disco più chiaro. La "Composizione n.3" è un rettangolo quasi bianco, su fondo grigio chiaro, attraversato dal solito segno. Tali immagini non sono però così ferme, immobili, ma presentano dei piccoli "difetti" come gli spigoli arrotondati, e lati incompleti aperti. "Così risultano colmate da imprevedibili allusioni e, per qualche istante, è possibile la fantasticheria di una molteplice luna che viene a contrapporsi o a congiungersi alla sfera solare".
Il dialogo tra geometria e segno è preceduto da numerosi studi rimasti fino ad ora "segreti" eseguiti tra il 1964 e il 1966. Da questo rapporto tra una geometria costantemente reinventata e contestata si articola il lavoro delle "tensioni" e "incastri" del 1968-1970. "Verga modifica il concetto di tempo e di spazio che da entità puramente soggettive e interiori (il tempo e lo spazio dell'emanazione e della scrittura), si convertono progressivamente quasi attraverso un processo di estroflessione in entità oggettive, anche se estranee totalmente alla sfera dell'esperienza materiale".
Verso la fine degli anni '60, ma lo sviluppo maggiore si avrà intorno agli anni '70 e '80, l'interesse dell'artista si appunta sull'uso di un tipo di geometria "sui generis", del tutto personale ma che, ancor meglio della fase precedente, emblematizza la sua personalità, è una continua constatazione della illimitata e imperfetta situazione, perennemente in bilico, dell'intera esistenza. "Partendo come ipotesi critica, dall'intendimento metaforico del discorso artistico, Verga realizza l'esatta situazione "in essere" di un mondo posto in situazione transitoria quale è quella che stiamo vivendo. Ormai sempre più le figure hanno il sopravvento; il suo personalissimo linguaggio si compone di quadrati triangoli e cerchi resi con pochi tratti, e "pare impossibile che mezzi di comunicazione tanto semplici, scarsi e così poveri di variazioni riescano talvolta a trasmettere qualcosa. Il segno, preciso, silenzioso, pulito, descrive con minime sbavature queste geometrie bizzarre che si muovono, che cedono, che mancano di un lato, sembrano saltare o cadere; atte ad evidenziare l'impossibile perfezione anche nella perfezione per eccellenza come la geometria; "la linea non si congiunge, oppure è abbondante e si soffietta" morbidamente, oppure un tratteggio di colore spezza l'incantesimo del bianco perfetto: impercettibili imperfezioni, parlanti su bianchi gramosi, che si impongono come substrato interiore". Le immagini sono chiamate "Quadrato stanco", "Triangolo matto", "questi titoli non hanno nulla di beffardo, non traducono un "caso personale", non hanno i limiti di una polemica anticoncretista, del resto inutile e superata. Contrassegnano la cronaca ironico-fantastica di una geometria oppressa dal quotidiano, stanca...". "Quasi che la limpida certezza euclidea non ce la facesse più a sostenere il tutto concluso ". Vi è quindi un "palese intento dissacratorio, quasi a sottolineare da un lato la difficoltà di sviscerare il proprio intimo, dall'altro l'inanità dell'illusione razionalistica".
Poi il suo interesse si sofferma sulla figura del cerchio, nel quale "l'ultimo commensurabile momento di curvatura, sigillo della perfezione, vola via in un attacco di incontenibile aspirazione alla libertà": è il momento delle "Meridiane", che si impongono silenziosamente sul bianco della tela, diventando altro, conservando segni, frammenti, di numeri, di immagini cabalistiche, simboli antichi, "schegge provenienti da latitudini profonde".
Guardando l'intero suo percorso artistico, si può notare come, la suddivisione geometrica della superficie della tela, in modo più o meno calcolato, sia sempre stata fondamentale per l'artista. Vedasi a proposito l'impianto strutturale a croce delle opere materiche del 1957, o l'indicazione di rettangoli nel rettangolo del foglio, entro il quale pulsano i frammenti di segni che compongono le "Lettere d'amore", fino ad arrivare a questa geometria costruita a riga e squadra, fino a che non si stanca, ed allora il canone viene messo in crisi. Le impercettibili modificazioni si avvertono osservando a lungo il lavoro, e a distanza, allorché scatta a livello percettivo il contrappunto tra il tratto verde o giallo acquerellato dell'angolo, e l'impacciarsi della linea del lato opposto, o il suo gonfiarsi; lo spostamento del tratto che fa si che la forma sia irregolare ,e spostata rispetto al centro. "Lavorare sulla geometria, significa per lui appropriarsi di un sommario di referenti linguistici che, con leggeri spostamenti o interventi sui canoni, consentono di raggiungere immagini fortemente significanti in senso fantastico. di affermare il potere individuale della creatività anche della presenza morale dello spazio specifico e mentale".
Zen e cultura orientale
Verga non pone meta nel suo lavoro. Il suo lavoro è una continua "ipotesi" e "ricerca.": Nella sua pittura e nel suo fare artistico si colgono echi della cultura orientale Zen mediati da una mente occidentale. Nelle "Composizioni" il segno, dopo essersi annodato con scatto quasi automatico e intuitivo, riprende un percorso lineare che riflette razionalità. Tale segno rappresenta l'operazione finale, risultato di ore ed ore, a volte giorni, di lavoro e meditazione. Verga costruisce, distrugge, ricostruisce la composizione centrale accostando tra loro figure falsamente geometriche {nel senso che contengono sempre una imperfezione). Una volta portato a questo stadio, il lavoro si ferma e l'artista aspetta il momento giusto, la carica vitale per scattare con una linea che attraversa e passa sopra l'immagine già finita. Due tipologie vitali si trovano a convivere: "la razionalità costrittiva dell'Ego è contrapposta alla libertà istintiva dell'Es". Tale procedimento si ritrova nella cultura Zen. Noi solo davanti alle opere possiamo effettivamente captare la tensione e i significati dei quali è pregno. "L'apparente semplicità della sua pittura", spiega R. Apicella "è nel suo substrato segreto, il ponte che l'Occidente europeo propone all'Oriente metafisico è la riscoperta del segno puro, della linea assoluta nei quali il misticismo contemplativo dello Zen disegna il suo simbolo di eternità, .il trascendente colloquio con lo spazio illimitato dell'estasi. La pittura "segnica" di Verga diviene simbolo di questo dialogo, in parte volonteroso, in parte incomunicabile, di uomini e di proposizioni ideologiche... all'uomo occidentale non è possibile il naufragio nello spazio sterminato, ma affiora sempre il ripensamento di se medesimo, il peso della sua carne, l'antinomia della tradizione plotiniana e paolina.
La ricerca di assoluto di Angelo Verga oltre che vicina alla cultura Zen, richiama per certi versi e per certa ironia Paul Klee, il quale per primo tentò di travalicare i confini tra esperienza estetica occidentale e orientale.
Testo tratto dalla tesi di Elena Busisi "Itinerari e soglie tra futuro e nostalgia"
Accademia di Belle Arti Brera - Milano - Anno Accademico 1990-1991
Corso di pittura - Relatore Chiar.mo Prof. G. M. Accame